La Voce Repubblicana

Spadolini e i repubblicani: sbocco politico naturale

da La Voce Repubblicana (4 agosto 2004)  

Giovanni Spadolini amava dire che era stato “prestato alla politica”, perché prima di arrivare in Senato come parlamentare repubblicano aveva diretto il “Resto del Carlino”, “Il Corriere della Sera” ed insegnato Storia contemporanea nell’Ateneo fiorentino. Aveva, perciò, tutti i titoli per ritenersi un esponente di primo piano della società civile, del mondo della cultura e delle professioni. Ciò nonostante quell’affermare con insistenza di sentirsi “prestato alla politica”, anche quando ne aveva percorso con successo un invidiabile cursus honorum, era una veniale civetteria. Perché, in fondo, Spadolini apparteneva integralmente alla categoria dell’homo politicus, nel senso più alto del termine.

Da giovane professore di storia aveva voluto approfondire l’analisi di quei filoni ereticali, i repubblicani, i radicali, i cattolici, che una certa facile storiografia di maniera aveva inglobato nella storia dell’Italia sabauda. Non si trattava di una semplice curiosità di storico, ma rispondeva ad un’esigenza, tutta politica, di comprendere bene e sino in fondo quali fossero le vere radici della storia italiana, da dove nascessero i vizi e le virtù dell’Italia repubblicana e dei suoi interpreti principali, i partiti politici. E, non a caso, non considerava mai conclusi i suoi lavori. A differenza di altri storici, Spadolini ha sempre continuato a rivederli, ad aggiornarli, a riscriverli. La storia, in sostanza, era per Spadolini uno strumento indispensabile dell’azione politica. Quest’ansia di conoscenza e di azione fu trasferita nel giornalismo. Quando nel febbraio del 1968 assunse la direzione del “Corriere”, Spadolini aveva ben chiaro che il suo ruolo non era soltanto quello di osservare e di narrare ai lettori i fatti della politica, ma principalmente quello di influire su di essi, di partecipare alle scelte della vita della nazione. Un ruolo più politico che giornalistico.

Lui stesso racconta che proprio in quei mesi (siamo a febbraio del 1968) “furoreggiava la formula della ‘repubblica conciliare’ a significare il primo incontro tra cattolici e comunisti, anzi fra gerarchia ecclesiastica e partito comunista” e che opponendosi a questa prospettiva chiamò a intervenire su questo argomento dalle colonne del “Corriere” Ugo La Malfa, “interprete per eccellenza del partito della democrazia laica”, “che si era distinto con particolare calore e fervore” “nella denuncia dei pericoli e delle insidie connessi alla repubblica conciliare”.

L’incontro tra Giovanni Spadolini e il Partito repubblicano di Ugo La Malfa non fu, perciò, una casuale circostanza, ma lo sbocco naturale di una inarrestabile vocazione alla politica. E fu un incontro felice. La sua profonda conoscenza della storia repubblicana lo portò ad identificarsi con essa, ad intepretarne i valori più autentici: il senso dello Stato, la laicità delle istituzioni, l’appartenenza senza cedimenti al mondo occidentale, la difesa di Israele. Questi valori egli portò nella guida del Paese quando assunse per due volte la Presidenza del Consiglio. Una grande testimonianza di repubblicanesimo. Nel suo indomabile iperattivismo concretizzava il motto mazziniano: pensiero e azione, così lontano dai rituali della politica italiana.

L’Italia gli deve molto e molto gli deve anche il Partito repubblicano, che sotto la sua segreteria raggiunse successi elettorali che ci fecero sognare. Fu lui, e non a caso, che si adoperò per il rientro, senza traumi, nel Pri, di Randolfo Pacciardi, un eroe leggendario della guerra di Spagna e dell’antifascimo, che aveva scritto pagine gloriose della storia repubblicana.

Di questa storia centenaria Giovanni Spadolini è stato un grande e felice interprete.

Fonte: http://www.pri.it/Spadolini/RebuffaIntervenSpadolini.htm

 

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