Ripensare il futuro del Pri/Prospettiva liberaldemocratica per le elezioni europee
Può forse apparire inopportuno e intempestivo, mentre ci inoltriamo in una campagna elettorale – per la verità sempre più scialba e opaca – avviare una riflessione sul futuro del Partito repubblicano. Credo però che proprio la quasi totale assenza, se si escludono la Lombardia, la Calabria e le Marche, di candidati repubblicani, possa consentirci, almeno nel resto d’Italia, di vivere con distacco queste settimane. E di meditare.
Vittime, come tutti gli altri partiti di centro, di un colpo di stato mediatico-giudiziario e condannati dall’effimero mito salvifico del bipolarismo a girovagare per un decennio da uno schieramento all’altro pur di garantire la nostra sopravvivenza politica, è forse arrivato il momento di un bilancio consuntivo della ormai ultradecennale esperienza che abbiamo alle spalle per assumere responsabilmente le decisioni per un futuro, che non può e non deve essere lontano.
Non sappiamo quale Parlamento uscirà dalle urne il 16 aprile. Se i sondaggi sono veritieri, e in genere lo sono, Il Popolo della libertà vincerà la partita. Sicuramente alla Camera. Probabilmente anche al Senato. Il Partito democratico la perderà. Ma il punto non è questo. Non sarà, infatti, irrilevante in che misura i due contendenti rispettivamente vinceranno e perderanno.
Veltroni, forse nella consapevolezza che questa mano sarebbe stata persa, ha lanciato una grande sfida. Ha invertito la rotta del suo Partito democratico di 180 gradi rispetto all’Ulivo di Prodi. Ha reciso il legame con la sinistra, ha presentato un programma con venature liberiste, assolutamente indigeribili per la sinistra. Ha dichiarato, proprio in questi giorni, che sono stati persi inutilmente anni a discutere sulla regolamentazione del sistema radiotelevisivo con l’obiettivo di colpire Berlusconi, mentre il Paese perdeva inesorabilmente terreno nella competizione economica. Sembra, quasi, che la sua campagna elettorale sia indirizzata più contro Prodi che contro Berlusconi. E forse lo è.
Ma tutti questi elementi, che potrebbero sembrare positivi e innovativi, sono però controbilanciati da pesanti contraddizioni destinate a disarticolare e far evaporare l’illusione veltroniana. Il Partito democratico nasce dalla sovrapposizione tra quello che resta della trasformazione del vecchio Partito comunista e la sinistra democristiana. Un connubio non felice, nel quale molto probabilmente sarà proprio il mito egualitaristico dossettiano, ideologicamente più saldo e oggi ben interpretato da Rosy Bindi, a prevalere rispetto a quell’area post-comunista, che nella sua evanescenza non riesce a trovare un’anima e un’identità. Si aggiunga, e non è questo elemento di poco conto, che nella competizione elettorale il Partito democratico è apparentato con quell’Italia dei Valori che esprime con voluta arroganza il più vieto e illiberale giustizialismo. Ma sono questi, populismo e giustizialismo, gli strumenti più idonei per affrontare e risolvere i problemi di un Paese che non riesce a liberarsi delle sue ossificate sovrastrutture statalistiche e che avrebbe bisogno di una possente ventata di vero liberismo? Non deve, infine, essere sottovalutato che il maggior pregio della proposta veltroniana, la rottura con la sinistra, è interpretato da molti militanti come un momento tattico contingente e non strutturale. Tanto è vero che nelle elezioni amministrative, che si svolgono negli stessi giorni di aprile, Pd e sinistra sono uniti. Non è un fatto casuale.
Di contro il partito del Popolo della libertà, costruito sull’asse Forza Italia-Alleanza Nazionale, imbarcando tutto quello che poteva imbarcare, pur di fare voti, dai pensionati alla Mussolini, a Ciarrapico; e sbarcando, invece, uomini come Biondi, Jannuzzi e Capezzone, rischia di cancellare quella matrice liberale che era stata alla base dell’iniziale grande speranza berlusconiana. Le contraddizioni all’interno del Pdl sono anch’esse numerose, tanto che Tajani, per tacitare le critiche del Partito popolare europeo ha dovuto sostenere che si tratta di una semplice alleanza elettorale. Del resto lo stesso Fini non ha ancora sciolto il suo partito. Si vedrà.
Le condizioni dei due principali antagonisti non sono, perciò, esaltanti né ci sembra che entrambi possano avere grandi prospettive. In questo desolante quadro non va peraltro trascurato un altro elemento, quello della presenza nella competizione elettorale di altri soggetti politici, che hanno scelto, sfidando i lacci di una legge elettorale, che dire pessima è poco, di non aggregarsi a nessuno dei due soggetti principali e di presentarsi con il loro volto.
Il centro di Casini, il Partito socialista e, pur senza la minima speranza, lo stesso piccolissimo Partito liberale (che deve la sua presenza alla generosità dei parlamentari repubblicani) sono scesi in competizione. Ce la faranno a superare la soglia de 4%? Il Partito liberale certamente no, il partito di Casini quasi certamente si, il Partito socialista non si sa. Probamente rischia l’esclusione dal Parlamento. Ma non è questo il punto. Credo che proprio queste presenze debbano farci riflettere, al di là dei risultati che dovessero conseguire, se non sia arrivato il momento di gridare alto e forte che i mali del nostro Paese derivano principalmente proprio da questo sistema bipolare, che si vuole conservare e che, invece, dovrebbe essere la prima cosa da smantellare.
La seconda riflessione, sulla quale vorrei richiamare l’attenzione dei repubblicani, attiene proprio al deficit di liberismo che caratterizza i due principali antagonisti, e che non può essere considerato da noi un aspetto secondario, bensì l’unica ragione della nostra collocazione politica. Se così è, questo è il mio avviso, occorre da subito riprendere concretamente e con decisioni tangibili il cammino per la costruzione di una più ampia aggregazione liberale, capace di garantirci la necessaria autonomia e di incidere sui processi decisionali. E a questo punto la nostra scadenza è quella della primavera 2009 con una legge elettorale che assicura una vera rappresentatività e la nostra prospettiva è quella del Parlamento europeo, non con i popolari né con i socialisti, ma con i liberali.
Da: http://www.pri.it/18%20Marzo%202008/TartagliaFuturoPri.htm
La Voce Repubblicana
18 Mar 2008