La Voce Repubblicana

Scontro sociale inutile: quando il Paese si dimostra irriformabile

da La Voce Repubblicana (10 aprile 2012)  

Scontro sociale inutile

Stando alle notizie di agenzia, l’incontro del Presidente del Consiglio e del Ministro Fornero con i rappresentanti dei tre maggiori partiti che sostengono il Governo, per riconsiderare la manovra legislativa sul mercato del lavoro, avrebbe avuto un esito positivo. Certamente è da considerarsi positivo perché costituisce il punto di convergenza tra le forze politiche, ma non sappiamo quanto potrà essere positivo per risolvere i problemi del mercato del lavoro.

Se le indiscrezioni sono vere, la mediazione tra il Pd e il Pdl sarebbe stata raggiunta con un allargamento della flessibilità in entrata ed un restringimento della flessibilità in uscita, rispetto all’ipotesi iniziale presentata dal Ministro Fornero e approvata dal Consiglio dei Ministri. Queste limature, come è evidente, se recepite dal Governo, finirebbero per lasciare quasi inalterati i meccanismi che regolano il mercato del lavoro. Finirebbero per essere soltanto un modesto maquillage del tutto insufficiente a incidere su una realtà che il sistema economico sociale del Paese non è più in grado di reggere.

La strozzatura della flessibilità in uscita garantita dalla legge 15 luglio 1966 n. 604 e dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300, considerata, giustamente, come una conquista dei lavoratori, ha, tuttavia, ingenerato nel corso degli anni una dualità sempre crescente del mercato del lavoro. Per non incappare nelle rigidità della legge gli imprenditori hanno inventato forme di elusione, favorite spesso anche da ulteriori norme legislative confuse e approssimative, che hanno creato un mercato parallelo privo delle tutele contrattuali e di legge che garantiscono il lavoro subordinato.

L’utilizzo delle partite iva, considerate non più come tipiche delle prestazioni professionali, ma estese a qualsiasi tipo di prestazione lavorativa, l’ingresso dei co.co.co. e dei co.co.pro., i collaboratori coordinati e continuativi, considerati giuridicamente come forme di lavoro parasubordinato, ma nella realtà veri e propri rapporti di lavoro subordinato, regolati come prestazioni di lavoro autonomo, sono cresciuti in maniera mostruosa, tanto da sollecitare un intervento delle autorità europee.

Che l’utilizzo delle partite iva e dei contratti co.co.co. e co.co.pro. abbiano mascherato rapporti di lavoro subordinato è di tutta evidenza. Quello che stupisce è che queste forme anomale siano state utilizzate e continuino ad essere utilizzate anche nella pubblica amministrazione, dove si dovrebbe presumere una corretta applicazione delle norme di legge.

Per risolvere questa situazione, giunta ormai a livelli di assoluta intollerabilità, il Governo Monti si era impegnato ad una riforma radicale del mercato del lavoro. Quali dovevano essere gli strumenti? In primo luogo, riportare nell’ambito del lavoro subordinato tutte le forme falsamente atipiche di lavoro autonomo, in secondo luogo rendere più fluida la flessibilità in uscita. Tradotto in altri termini, l’obiettivo doveva essere quello di eliminare le false partite iva e gli ambigui co.co.co. (o co.co.pro.) e di intervenire sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per renderlo meno rigoroso.

Ancorché l’ipotesi Fornero si fosse mossa in questa direzione il risultato emerso dal Consiglio dei Ministri era già di per se compromissorio: i co.co.pro. mantenevano la loro giustificazione giuridica e l’articolo 18 restava sostanzialmente integro. Oggi con il compromesso uscito dalla trattativa tra Governo, Pdl, Pd e Udc l’ipotesi Fornero viene ulteriormente limata.

A questo punto viene spontaneo chiedersi se non sia il caso di lasciar stare tutto com’è e di evitare un inutile ulteriore scontro sociale, prendendo atto che questo Paese è irriformabile.

Fonte: http://www.pri.it/new/10%20Aprile%202012/TartagliaRiformaLavoro.htm

 

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