La Voce Repubblicana

La semplificazione non risolve tutti i problemi

da La Voce Repubblicana (19 aprile 2008)  

Dopo lo tsunami delle urne/Gli scenari che potrebbero emergere dal nuovo assetto

Dal risultato elettorale di domenica più di un commentatore ha tratto la conclusione che ormai il nostro sistema politico si è assestato, come per incanto, sul binario del bipartitismo, avendo il Partito democratico e il Popolo della libertà superato complessivamente il 70 per cento dei voti. Ma, come ci ammoniva Paolo Ungari, in politica nulla è mai definitivo. Nelle prime elezioni della nostra età repubblicana la Democrazia Cristiana e il Fronte Popolare raccolsero quasi l’80 per cento dei suffragi. Poteva sembrare un buon viatico per il bipartitismo. Ma De Gasperi – che pure aveva ottenuto il 48,5% e la maggioranza assoluta in Parlamento, non volle rinunciare al contributo, se non dei voti (di cui non aveva bisogno), delle idee del Partito repubblicano, di quello liberale e di quello socialdemocratico, assicurando loro ruolo e visibilità e avviando l’Italia sul binario di quel pluralismo centrista che ha scritto le pagine più alte e significative della nostra storia democratica.

Oggi sembra che questi valori non debbano avere più cittadinanza in nome di una semplificazione del quadro politico voluta dagli elettori. Ma è proprio così? Siamo certi che i due partiti a “vocazione maggioritaria” abbiano davanti a loro e nelle loro mani il futuro del nostro Paese? In proposito abbiamo molti dubbi.

Sul fronte del centro-sinistra il risultato più rilevante non è stata tanto l’affermazione, scontata e comunque al di sotto delle aspettative (35%?), del neo partito veltroniano, quanto la scomparsa dal Parlamento della sinistra comunista e ambientalista, oltre che del Partito socialista, e la crescita inquietante dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Lo scenario che si presenta a sinistra non è, perciò, rassicurante. Lo sbarramento elettorale ha eliminato dalla rappresentanza parlamentare una parte consistente e significativa dello schieramento politico italiano. Questo vuol dire che i comunisti sono scomparsi? Sarebbe troppo semplice e anche troppo facile se si pensasse che con una legge elettorale si possa cancellare una parte del Paese. Un’area comunista esiste, è incontestabile, e se non ha spazi di rappresentatività in Parlamento li troverà altrove, con grossi interrogativi per la stabilità del sistema. “Dobbiamo tornare ai cancelli delle fabbriche”, ha detto Bertinotti a conclusione dell’esito elettorale. Non è una minaccia, è un programma lucido e preciso. Ma l’assenza dal Parlamento della sinistra comunista produrrà, con molta probabilità, un altro effetto. In politica non esistono vuoti. Se uno spazio si libera, qualcuno lo occupa. Chi potrà occupare lo spazio lasciato dalla sinistra comunista? Non ci sono altri soggetti se non il Pd e l’IdV. E’, quindi, inevitabile che una parte del Partito democratico tenderà inesorabilmente a coprire lo spazio di rappresentanza lasciato dalla sinistra comunista. Ma non sarà questo l’unico problema.

L’Italia dei Valori ha avuto un insperabile successo. Effimero, riteniamo, e frutto del sistema elettorale. Quanti della sinistra radicale, in nome dell’odio antiberlusconiano, hanno preferito votare per lo schieramento veltroniano per timore che potesse vincere Berlusconi? Molti, visto il risultato dell’Arcobaleno. Ma hanno scelto non a caso, in polemica con Veltroni, le liste di Di Pietro, che li garantiva con il suo accecante giustizialismo. Una presenza così consistente del dipietrismo nell’area di centro-sinistra non aiuta certo a stabilizzare quell’immagine di moderatismo che Veltroni si è sforzato di assicurare al suo partito. Soprattutto se, come era negli impegni preelettorali, l’IdV dovesse confluire nel Partito democratico.

Esistono, come se non bastasse, anche altre incognite. Cosa farà la pattuglia radicale eletta nel Pd? Si annullerà, come promette, nel nuovo partito? Ne dubitiamo. E in caso affermativo come potrà convivere con quella cultura di matrice cattolica che è uno degli assi fondanti del neo Partito democratico?

E ancora. Resisterà Veltroni, che in questi mesi ha accreditato l’immagine di un partito in netta antitesi con l’ulivo prodiano, alla fredda vendetta del prodismo?

Per non dimenticare la presenza in Parlamento dell’Unione di Centro di Casini. Se Casini, come è pensabile, dovesse marcare le distanze dal centro-destra e schierarsi all’opposizione, costituirebbe un ulteriore problema per Veltroni. E’ da escludere, come auspica Follini, che l’UDC entri nel Partito democratico. E’ più probabile che diventi, al contrario, un’attrazione per quell’ala cattolica del Partito democratico che si sentiva rappresentata da Prodi, ma che vive con sofferenza la leadership di Veltroni.

Per economia di spazio, ci fermiamo qui. Anche se molto ci sarebbe da dire proprio sulla nebulosità programmatica del Partito democratico e sulla sua confusione ideologica. Ma gli interrogativi che abbiamo sollevato ci sembrano sufficienti a motivare i dubbi sulla tenuta del partito “a vocazione maggioritaria ” del centro-sinistra.

Non diverso è il giudizio sul partito vincitore delle elezioni. Berlusconi ha vinto per la terza volta. Non ci sarà una quarta volta. Non per motivi politici, ma per semplici motivi anagrafici. Il Popolo della libertà non è un partito, bensì un cartello elettorale legato alla figura carismatica del suo leader. Cosa resterà di questo partito quando Berlusconi andrà in pensione? Cosa nascerà dalle sue ceneri? Oggi anch’esso si presenta con “vocazione maggioritaria”, ma con quali contenuti? Nessuno disconosce a Fini e ad Alleanza nazionale di aver definitivamente e irrevocabilmente chiuso i conti con il passato. Nessuno, che non sia mosso da furore ideologico, può negare a lui e al suo partito di essere sinceri democratici. Ma la cultura che Fini esprime è quella dello statalismo e dell’assistenzialismo, certo legittima, ma difficilmente coniugabile con una visione liberale. Fini rappresenta in buona parte il Popolo della libertà. L’appannamento della matrice liberale che era alla base della nascita di Forza Italia e che si è persa nel nuovo partito, non è un elemento che possa tranquillizzarci.

In conclusione. Siamo solo all’inizio di una riflessione che dovrà essere certamente più approfondita, anche alla luce delle inevitabili evoluzioni del quadro politico, ma credo che gli elementi che abbiamo sotto gli occhi ci possano consentire già di trarre una valutazione su due aspetti non marginali: il bipartitismo uscito dalle urne è fragile e inconsistente e non è destinato a durare; la cultura liberale aspetta ancora una sua visibile e riconoscibile identità politica.

Fonte: http://www.pri.it/new/18%20Aprile%202008/TartagliaTsunamiElezioni.htm

 

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