La Voce Repubblicana

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da La Voce Repubblicana (14 settembre 2007)  

Liberismo: di destra o di sinistra?/Una teoria economica che sfugge alle classificazioni

“Era una notte buia e tempestosa…..”. Con questo suadente incipit il simpatico bracchetto Snoopy ha tentato per decenni di dare fiato ad un romanzo, che, purtroppo, non avrebbe mai visto la luce. Con lo stesso ardore del canino eroe di Schulz i non meno simpatici economisti Alesina e Giavazzi tentano oggi di scrivere, anche loro, un romanzo con un incipit non meno accattivante “Il liberismo è di sinistra”. Temiamo, però, che anche il romanzo di questa tetragona affermazione non vedrà mai la luce.

Alesina e Giavazzi sono due autorevoli economisti, di cui condividiamo quasi ogni parola, anche le costanti critiche liberali agli statalisti Prodi e Padoa – Schioppa, e soprattutto il loro fiducioso ottimismo sulle virtù salvifiche del liberismo. Un po’ meno li condividiamo quando dal terreno economico, che è loro più consono, si abbassano a scendere su quello politico, come consiglieri del principe. Né condividiamo il sia pur cauto ottimismo di un liberale autentico come Piero Ostellino, che, recensendoli sul “Corriere della Sera”, si è augurato che i loro argomenti possano servire “a indebolire pregiudizi e idee ammuffite, che per forza d’inerzia, continuano a circolare nella sinistra italiana”.

Che la povertà si vinca creando ricchezza e non miseria, è vero. Come è vero – la storia ce lo insegna – che è il liberismo a creare ricchezza. Che la “sinistra” si sia sempre presentata come paladina dei poveri, è anche questo vero. Ma da qui a sostenere che, di conseguenza, il liberismo, in quanto capace di vincere la povertà, è di “sinistra”, ci appare un difettivo sillogismo, come direbbe il sommo poeta.

Da queste colonne ho già ricordato, condividendola, l’analisi e la tesi del prof. Antiseri, che le categorie “sinistra” e “destra”, più che inutili sono dannose, e proprio per questo non mi sento di addentrarmi sul terreno scivoloso sul quale Alesina e Giavazzi si avventurano.

Peraltro, mi conforta lo stesso Ostellino, anche lui diffidente su queste distinzioni, quando ritiene che il liberismo sia tale da non lasciarsi assorbire nella classificazione destra – sinistra. Mi basterà ricordare che l’inventore della moderna scienza economica, Adam Smith, orsono tre secoli, nella sua ricerca sulla natura e le cause che determinano la ricchezza delle nazioni, finì per individuarle nel fatto che “non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che noi attendiamo il nostro pranzo, ma dalla loro considerazione dell’interesse proprio”. Questa affermazione è sufficiente per annoverare il reverendo Smith nel panteon della “sinistra”? Anche qui l’annotazione di Ostellino, che se dovessimo considerare di sinistra tutti i liberisti italiani (tra i quali lui si annovera) provocheremmo in alcuni di loro una vera crisi di identità, coglie nel centro.

Ma, ferme restando le valutazioni di Antiseri, mi chiedo, e chiedo ad Alesina e Giavazzi, se il liberismo è di sinistra, allora il socialismo è di destra? Se così non è, creiamo soltanto confusione e personalmente ho francamente qualche difficoltà a mettere dalla stessa parte della barricata due filosofie del mondo che da sempre si contrappongono tra loro.

Il liberismo è il liberismo e non è etichettabile, di “destra” o di “sinistra”. O si è liberisti o si è statalisti, in medio non stat virtus.

Vorrei perciò invitare Giavazzi e Alesina a desistere. Continuino a occuparsi di economia e a criticare le decisioni illiberali dei governi, di questo come dei precedenti. Lascino stare la politica. Stiano attenti, perché il loro romantico e generoso tentativo di innestare il cervello del liberismo nel cadavere del cattocomunismo potrebbe generare, in una notte buia e tempestosa, il mostro di Frankenstein.

Fonte: http://www.pri.it/13%20Settembre%202007%20Internet/TartagliaLiberismo.htm

 

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