da La Voce Repubblicana (20 novembre 2007)
L’Italia della “topolino” amaranto / Erano gli anni in cui fu elaborata la Costituzione
“Il Paese non è governato, da 12 anni è impossibile prendere decisioni di fondo”. Con sole dodici parole il presidente di Confindustria ha impietosamente fotografato la situazione italiana meglio di qualsiasi saggio politologico, con buona pace di Eugenio Scalfari. E quanto sia nel giusto lo dimostrano, da un lato, la pioggia di critiche che la sua affermazione ha ricevuto da tutte indistintamente le maggiori forze politiche di centro-sinistra e di centro-destra, responsabili prime della ingovernabilità, dall’altra il successo riscontrato nell’opinione pubblica, che secondo un sondaggio condivide al 71% il parere di Montezemolo.
Se, perciò, è giudizio ormai largamente condiviso che nell’ultimo decennio l’Italia non sia stata governata, vuol dire semplicemente che la seconda repubblica è fallita. Ed è fallita nel suo obiettivo principale e, per così dire, costituente. Prima ne prendiamo atto, meglio è per tutti, anche per Barbara Spinelli.
Quando all’inizio degli anni ’90 un colpo di mano mediatico-giudiziario spazzò via la prima Repubblica e la sua classe dirigente, si sostenne che il sistema politico era morto per via di una diffusa corruzione, messa a nudo finalmente dalla stampa e dalla magistratura e figlia naturale di un meccanismo che non garantiva né stabilità, né governabilità. Ecco il guaio di cui aveva sofferto per quasi mezzo secolo la Repubblica Italiana: instabilità e ingovernabilità. Che questo fosse il vero “guaio” della prima Repubblica è tutto da dimostrare, ma l’argomento è materia per gli storici futuri. Limitiamoci per ora a dare per buono questo assunto.
Per soccorrere il Paese moribondo una pletora di eccelsi studiosi, dopo aver diagnosticato, senza alcun ombra di dubbio, la malattia – l’instabilità e l’ingovernabilità appunto – si affrettò a sentenziarne la terapia: il bipolarismo. Sì, il bipolarismo sarebbe stata la medicina ideale che avrebbe finalmente ridato, a un’Italia sfiduciata, governabilità e stabilità. Ovviamente il bipolarismo aveva bisogno di un sistema elettorale ad hoc, il maggioritario, e tutti si proclamarono maggioritaristi convinti.
Appariva semplice, come l’uovo di Colombo, bipolarismo e maggioritario ci avrebbero finalmente salvato. Il popolo avrebbe scelto il governo, i partiti avrebbero fatto automaticamente un passo indietro e, miracolo della legge elettorale, si sarebbero per incanto ridotti. Non era così negli Stati Uniti o in Gran Bretagna?
Dopo dodici anni di questa cura possiamo tirare le somme e dire con chiarezza che né il bipolarismo, né tantomeno il maggioritario riescono a garantire governabilità e stabilità. Né si obietti che quello in vigore e con cui è stata eletta la legislatura vigente sia un sistema proporzionale. Si tratta, infatti, di un finto proporzionale. Laddove non è possibile esprimere preferenze si defrauda l’elettore di un suo diritto (garantito soltanto dal proporzionale) e lo si costringe, come avviene col maggioritario puro, a scegliere tra partiti. Quando sono i partiti a decidere le candidature, che si tratti di collegi uninominali o di liste bloccate, il risultato è sempre lo stesso.
Averci imprigionato in un sistema bipolare con logica maggioritaria ci ha portati all’attuale paralisi. I partiti, anziché diminuire, si sono moltiplicati come cellule impazzite, ciascuno facendo pesare il proprio voto di scambio, essenziale e determinante nel sistema che è stato costruito. Il Bipolarismo forzato con la logica del prendere tutto per poter vincere ha, poi, ingabbiato e calcificato il quadro politico creando due schieramenti contrapposti, che nella loro mostruosa composizione si sono dimostrati entrambi enormi animali preistorici incapaci di governare. Giorgio La Malfa ha, perciò, ragione nel sostenere nella sua recente analisi della crisi italiana che “è del tutto evidente che la distanza che sul piano programmatico e politico si riscontra fra le componenti centrali dei due schieramenti è in genere minore di quella che si registra all’interno di ciascuno dei due schieramenti”, ragion per cui “in sostanza i due cartelli si formano per effetto dei meccanismi della legge elettorale e uniscono forze profondamente diverse tra loro”.
Che questa sia la realtà se ne è accorto persino Giovanni Sartori, uno studioso da anni convinto che basti una legge elettorale giusta per far diventare, come per miracolo, il paese virtuoso, e che ha spezzato la sua lancia contro il bipolarismo e la stupida vulgata che sia il popolo con il voto a scegliere il governo.
L’entusiasmo, mediaticamente moltiplicato dalla scimmiottatura americana di finte primarie per la nascita del nuovo Partito democratico con vocazione maggioritaria, come ripete in questi giorni Veltroni, continua però a portarci verso la soluzione sbagliata, a perseverare nell’errore di un bipolarismo paralizzante e produttore di ingovernabilità. Mentre proprio la deludente esperienza di questo decennio dovrebbe farci comprendere che se occorre uscire quanto prima e il più velocemente possibile dalla logica bipolare, è anche necessario riflettere sulla inutilità di ragionare sulle leggi elettorali come rimedi dei nostri mali. Le leggi elettorali di per sé non hanno mai garantito né stabilità né governabilità. Se così fosse Benito Mussolini nel ’24 si sarebbe accontentato della legge elettorale Acerbo, che gli assicurava un ampio premio di maggioranza nella Camera dei Deputati. Per essere, però, sicuro di governare (a modo suo) dovette modificare l’assetto costituzionale con le leggi “fascistissime” dell’anno successivo. Né si sostenga che il sistema elettorale francese del doppio turno, introdotto da De Gaulle, ha assicurato la governabilità del paese. La stabilità della Francia è frutto non della legge elettorale, bensì della costituzione della V repubblica, che assicurando al capo dello Stato poteri precisi di governo ha garantito da quasi mezzo secolo la stabilità e la governabilità di quel paese.
Se tutto ciò è vero, ne consegue, come ho già più volte sostenuto su questo giornale, che l’unica ricetta per uscire dal fallimento della seconda Repubblica non è la scorciatoia della legge elettorale, bensì la via maestra della modifica di una carta costituzionale che è stata scritta quando gli italiani viaggiavano su una topolino amaranto. Solo su questa via, probabilmente, Francia e Inghilterra possono insegnarci qualcosa.
Fonte: http://www.pri.it/2%20Novembre%202007/TartagliaTopolinoAmaranto.htm