da La Voce Repubblicana (25 luglio 2012)
Liberaldemocrazia
E ora? La domanda sorge spontanea mentre si allontana nel tempo la manifestazione della Sala Umberto che ha riproposto la necessità di una costituente liberal-democratica. Tra la precedente manifestazione di Milano e quella più recente di Roma è trascorso qualche anno, senza che sia mai stato raggiunto un benché minimo risultato. Non ci sembra, perciò, eccessivamente pessimistico ritenere che anche nei prossimi mesi non si faranno passi avanti, sempre alla ricerca di una costituente liberal-democratica che appare ormai un miraggio irraggiungibile nel deserto della politica italiana. Proprio per questo, prima di andare avanti occorre chiarirci su un aspetto fondamentale: cosa è e cosa vuole essere la costituente liberal-democratica?
Se la risposta consiste nel ritenere che si tratti di un allargamento della base del Partito Repubblicano e di una sorta di sua rifondazione su una linea ideologica che mescoli liberalismo e democrazia, temo che non andremo tanto lontano.
Nel verminaio di questa seconda Repubblica sono stati molti i partiti che hanno cambiato denominazione, ufficialmente per allargare la loro base e ammodernare il loro bagaglio ideologico, in realtà per cancellare le tracce di un loro passato gravido di errori, di orrori e di pagine ignobili. E’ questa la strada intrapresa dal Partito Comunista, che doveva far dimenticare i suoi legami con l’Unione Sovietica e alcuni decenni di politica fatta soltanto di sbagli. La stessa strada è stata imboccata dal Movimento Sociale, che nonostante le acque di Fiuggi, ha dovuto cambiare il suo nome per far dimenticare un passato inconfessabile e la sua diretta discendenza dai responsabili di quella frattura autoritaria che ha lacerato la storia del novecento dell’Italia. Anche la Democrazia Cristiana, il partito di maggioranza relativa, che ha retto le sorti della prima Repubblica e alla quale andavano addebitati tutti i progressi compiuti nella ricostruzione della democrazia e del Paese, ma anche tutti i suoi cedimenti alle degenerazioni statalistiche e clientelari, ha sentito il bisogno di mutare nome, prima richiamandosi al popolarismo sturziano e poi definitivamente affogando in una margherita senza storia, senza idee e senza prospettive. Il Partito Repubblicano si è rifiutato di mettersi su questa strada, ancorché qualcuno ricorderà il velleitarismo della modesta e fortunatamente naufragata esperienza di Alleanza Democratica. Giustamente. Non avevamo scheletri nell’armadio, ma un passato di cui andare fieri. Non una pagina della storia del PRI può oggi essere letta e indurci a vergognarci.
Non vi è, peraltro, dubbio che grazie ad un orrendo sistema elettorale la presenza dei repubblicani si sia ridotta in misura considerevole e che, soprattutto, il suo peso politico sia marginale. Ma sono queste ragioni sufficienti per ritenere che un cambio di nome possa ridarci il ruolo e assicurarci una crescita elettorale? Credo proprio di no. Non basta a cambiare la targa sulla porta e la carta intestata. Per quale ragione gli italiani dovrebbero iscriversi e votare per il nostro partito soltanto perché ha cambiato nome? Mi sembrano ragionamenti sciocchi e semplicistici.
Allora il percorso deve essere un altro. La costituente liberal-democratica non può essere un cambio di nome del PRI, ma un progetto di alleanza tra forze politiche esistenti o costituende, ancorché minoritarie, che possano ritrovarsi e riconoscersi in una piattaforma di contenuti programmatici per la difesa e la costruzione di un’Italia liberale e democratica contro lo statalismo dominante, l’assistenzialismo preponderante e il corporativismo dilagante.
Se questo è il progetto della costituente liberal-democratica dovrebbero essere consequenziali tre scelte tra loro indissolubilmente collegate. La prima è che il PRI non deve sciogliersi, ma mantenere intatte le sue strutture nazionali e territoriali. La seconda è che la costituente liberal-democratica deve passare da un atto costitutivo federativo (statuto?) che preveda organismi collettivi di consultazione, di gestione e di rappresentatività verso l’esterno.
La terza scelta, che è indubbiamente la più importante, è quella di individuare gli altri soggetti politici da chiamare a far parte della costituente liberal-democratica. Credo che a nessuno possa sfuggire come questo passaggio comporti inevitabilmente la creazione (in qualche caso la ricomposizione) di legami con quelle forze e quelle sigle della società civile ma anche della società politico parlamentare che sono collocate a noi vicino e che si richiamano agli stessi valori.
Fonte: http://www.pri.it/new/25%20Luglio%202012/Fondo.htm