La Voce Repubblicana

Affrontare il nodo Alitalia nella logica di mercato

da La Voce Repubblicana (20 aprile 2008)  

Decenni di errori politici e sindacali Conseguenza, una compagnia dissestata

Ha ragione da vendere Gianni Ravaglia nel sostenere che la vicenda dell’Alitalia “può rappresentare la metafora del declino italiano”. In una campagna elettorale, che dire scialba è poco (tormentati, come siamo, da una fastidiosa e sgradevole par condicio), sembra che l’unico elemento di vivacità sia dato dalla sorte della compagnia di bandiera. Scherzando, Berlusconi ha detto “qui si fa l’Alitalia o si muore”, ma qualcuno lo ha preso sul serio e i giornali sono ormai pieni di dotte analisi sulla materia, mentre i contendenti elettorali si scambiano dichiarazioni sempre più bellicose e la questione ha assunto, purtroppo, i toni della competizione.

Panorama, il settimanale diretto da Belpietro e schierato contro la vendita ad Air France, è arrivato a quantificare gli oneri invisibili che cadrebbero sul contribuente italiano in caso di alienazione ai francesi, stimandoli tra il miliardo e 700 milioni di euro e i due miliardi e mezzo. Questa consistente cifra si raggiungerebbe sommando il costo della chiusura del contenzioso tra Alitalia e la Sea, la società che gestisce Malpensa, per la riduzione degli scali già messa in atto da Alitalia, al costo (trecento milioni?) per mantenere in vita la società sino al momento del passaggio di mano e al costo degli ammortizzatori sociali (prepensionamento e cassa integrazione) per sostenere le eccedenze occupazionali derivanti dall’alienazione.

Ma questi costi, purtroppo, ci saranno comunque. Con il nuovo orario estivo i voli Alitalia su Malpensa saranno ridotti del 72%. E’ una decisione già presa e non dai francesi e che dimostra soltanto, se ancora ce ne fosse bisogno, che è stato un errore collocare a Malpensa un secondo inutile e costoso hub. In ogni caso, se il contenzioso con la Sea si dovesse risolvere con il pagamento di una penalità, questa sarà inevitabilmente a carico dell’Alitalia e, quindi, sempre a carico del contribuente italiano. Anche sui costi di mantenimento, poi, ci sarebbe molto da dire. Non sappiamo chi abbia ragione nella disputa tra il ministro del Tesoro, Padoa-Schioppa, e quello dei trasporti, Bianchi, sui tempi di sopravvivenza dell’Alitalia; ma sappiamo che ogni giorno di sopravvivenza ha un costo, sempre per il contribuente italiano. Identico discorso vale per le eccedenze occupazionali. Chiunque sia a comprare la compagnia avrà un problema di esuberi, che si scaricheranno inevitabilmente sullo Stato; e quindi sempre sul contribuente italiano.

Vale la pena, allora, ricordare che il problema Alitalia non è un problema di oggi. Per decenni la compagnia di bandiera ha accumulato sprechi giganteschi drenando risorse pubbliche. Un vero e proprio carrozzone di Stato, guidato da politiche clientelari, gonfio di dipendenti, con altissime retribuzioni, sproporzionate come i prezzi dei biglietti. Viaggiare da Roma a Milano con Alitalia costa quanto andare da Roma a New York con qualsiasi altro vettore. E la stessa proporzione esiste nel confronto delle retribuzioni dei dirigenti. Il presidente Cimoli intascava oltre 190 mila euro al mese. Spinetta, presidente di Air France, ne prende 29 mila, ma anche l’amministratore delegato di KLM ne prende 45 mila e quello di British Airways 64 mila. Gli stipendi dei dirigenti intermedi e dei piloti hanno lo stesso rapporto proporzionale. Sono dati pubblici, pubblicati su tutti i giornali, mentre siamo sempre in attesa che il Ministero del Tesoro riesca a sbloccare un maxiprestito di 300 milioni di euro per consentire alla compagnia di pagare gli stipendi nelle prossime settimane. Se vi è, perciò, uno scandalo reale questo è proprio nella volontà di mantenere in vita un disastro simile.

Allora, il problema non è vendere ad Air France o trovare una cordata italiana. Può essere benissimo che il prezzo che i francesi sono disposti a pagare sia eccessivamente basso. Può essere anche che ci sia una cordata italiana valida.

Il problema è un altro. Sarebbe necessario che, sgombrando il campo dalle discussioni sulla salvaguardia dei posti di lavoro o sulla difesa ad oltranza della italianità della compagnia di bandiera, si prendesse atto una volta per tutte e senza ulteriori indugi – per il bene dell’economia del Paese, per il bene delle casse dello Stato e delle tasche dei cittadini – che se l’Alitalia, come pare ampiamente dimostrato, è un’azienda in coma profondo, ogni accanimento terapeutico è fuori di luogo. Porti, come deve, i libri in tribunale. Se un’azienda è in stato fallimentare, è bene che fallisca. E’ una semplice regola di mercato, che preserva la salute stessa del mercato e, quindi, dell’economia nazionale.

Fonte: http://www.pri.it/new/2%20Aprile%202008/TartagliaAlitaliaLogicaMercato.htm

 

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