Casaleggio, quali conseguenze per il M5S avrà la sua morte? Non è assolutamente prevedibile che la scomparsa improvvisa di Gianroberto Casaleggio possa influire negativamente sulle sorti del Movimento 5 Stelle da lui fondato insieme a Grillo.
Il Movimento 5 Stelle è ormai così largamente diffuso su tutto il territorio nazionale, in ogni comune, in ogni città e in ogni ceto, da non poter essere semplicisticamente liquidato come un fenomeno protestatario e qualunquistico ai margini della lotta politica.
Non vi è alcun dubbio che buona parte delle analisi e delle previsioni che costituiscono ormai il bagaglio ideologico di questo movimento siano da considerarsi “strampalate” e spesso frutto di luoghi comuni. Quando il terrorismo internazionale viene giustificato con il “ritorno degli imperi centrali”, quando si dipinge la futura prospettiva di una società senza lavoro che consentirà a tutti di “curare un bosco abbandonato”, certamente ci muoviamo nell’ambito nella facile ideologia del complottismo o nella fantasia del futuribile.
Ciò non toglie, che se oltre un quarto degli elettori italiani continua a votare per questo movimento ci deve essere una ragione più profonda delle esternazioni folkloristiche dei suoi fondatori. Non vi è dubbio che esiste nel Paese un malessere diffuso che nasce dalla quotidiana constatazione di tutte le inefficienze dell’apparato pubblico, ritenute dai cittadini non più tollerabili, da una crisi economica che appare senza uscita, nonostante le inutili iniezioni di ottimismo tweettate ad ogni piè sospinto dal Presidente del Consiglio. La mancanza di lavoro, il blocco dell’ascensore sociale, il pericolo che ogni pensionato adombra di vedere il suo reddito eroso, la mancanza di futuro per le giovani generazioni sono tutti elementi che costituiscono il brodo di cultura della protesta movimentista, e sulla quale i 5 Stelle accrescono i loro consensi.
Non è un fenomeno nuovo. Anche negli anni dell’immediato dopoguerra, nel passaggio dal fascismo all’antifascismo, un geniale commediografo come Guglielmo Giannini riuscì ad inventarsi il movimento dell’uomo qualunque, del cittadino, cioè, sballottolato tra fascismo e antifascismo. Il movimento di Giannini ebbe anch’esso un considerevole successo elettorale, ma fu ben presto riassorbito, grazie proprio alla presenza dei partiti, di quelle strutture organizzate intorno a un preciso bagaglio ideologico, che consentì loro di incanalare e rappresentare anche il dissenso sociale.
Oggi, con la crisi delle ideologie spazzate via dalla caduta del muro di Berlino (che per la verità avrebbe dovuto cancellarne una sola: il comunismo), i partiti politici sono praticamente scomparsi, non essendoci più coesione ideologica. Sono stati sostituiti da meri comitati elettorali (quando non si è trattato di comitati di affari) e dallo scontro tra candidati alla leadership del Paese.
Di conseguenza, proprio grazie alla scomparsa dei partiti è oggi possibile quello che ieri non riuscì a Giannini: lo sviluppo di un vasto movimento protestatario che unisce il malcontento generale e che si trasforma in una massa informe senza confini.
Se cosi è, un partito politico che abbia precisi e puntuali riferimenti in una tradizione di lotte e di impegno politico-sociale, non dovrebbe limitarsi a condannare questo movimento ma dovrebbe, al contrario, avere la capacità di aprire con esso un dialogo per confrontarsi sulle ragioni del malessere e sulle soluzioni, che non possono essere evasioni della fantasia, ma provvedimenti che tengano conto delle reali possibilità di intervento, in un quadro complessivo di compatibilità e di scelta.
Soltanto in questo modo, con il ritorno del primato della politica e la sua prevalenza sulla protesta, si potrà uscire dalla situazione di inutile esasperante contrapposizione nella quale si sta insabbiando il nostro sistema politico.